lunedì 20 dicembre 2010

Tempus pro capite e tempi dell’educazione

Dario Costantino

Un vecchio proverbio yiddish recita «Se tuo figlio ha il talento per fare il fornaio, perché vuoi che faccia l’ingegnere?». Se moltissimi genitori avessero il coraggio e la voglia di ascoltare veramente i desideri dei loro figli, avremmo sicuramente un minor numero di abbandoni scolastici e una maggiore vivibilità delle classi. Forse anche le istituzioni scolastiche (gli insegnanti e gli operatori nell’ambito dell’educazione) dovrebbero investire più tempo nell’ascoltare le reali esigenze degli studenti e della territorialità.
In principio fu la famigerata Legge (Delega) n. 53 del 28 marzo 2003. Poi da tutte le parti sono montate le proteste per la riforma Moratti, che è stata improntata al principio esclusivo di razionalizzazione della spesa pubblica; ma, allora, che dire della Riforma (in realtà un Riordino) Gelmini ? Quello che fa riflettere è l’uso della parola ragione, che ha assunto la ristretta accezione di fare tagli a tutto spiano, proprio in un settore che per innovarsi e rinnovarsi, in questo momento, necessita ingenti finanziamenti. La scuola deve essere considerata un importante volano per lo sviluppo futuro del nostro Paese , e a essa devono essere assegnate risorse sufficienti non solo per sopravvivere, ma anche per migliorarsi e crescere.
Consideriamo la condizione e il problema del numero degli alunni per classe. Il POF di istituto – il più delle volte – parla di criteri di formazione delle classi e di numero massimo di alunni per classe (mediamente 28 unità). Ebbene nella maggioranza delle classi iniziali dei licei troviamo un numero di alunni pari a 32 unità o anche più. Proprio nel momento di passaggio tra la scuola secondaria superiore di primo grado e quella di secondo grado, il momento più difficile di transizione e adattamento, troviamo il contesto pedagogico peggiore per accogliere gli alunni. Ci siamo interrogati sul perché e la risposta è che l’USP (per la cronaca ex-Provveditorato, poi ex Centro Servizi Amministrativi, oggi Ufficio Scolastico Provinciale) autorizza classi così numerose e che addirittura, talvolta, gli stessi genitori insiste-rebbero nell’iscrizione dei propri figli in determinati corsi, anziché in altri.
Non può esistere nessun pedagogista, o nessun principio pedago-gico, che ci potrà mai far recedere dal pensare che la classe overloa-ded è già fallita ab ovo. Facendo dei semplici conti si capisce che «il tempo che ciascun insegnante dedica agli allievi – pro capite – é scarso», proprio in una classe e in un momento fondamentale del percorso evolutivo degli alunni; quale successo formativo in questo contesto educativo?
Considerati gli angusti spazi in cui sono collocate – nella maggior parte dei casi – le aule (che non hanno un volume d’aria sufficiente per tutti gli alunni, cosa che è imposta da una precisa legge dello Stato Italiano), sorgono problemi di disciplina. Ritorna sempre l’annosa e ormai congenita problematica dell’edilizia scolastica, fatiscente a “dismisura” di studente.
A un mondo più complicato corrisponde una società più comples-sa, ragazzi più bisognosi di attenzioni, docenti mal pagati, insegnanti chiamati a rivestire più ruoli (dallo psicologo all’esperto delle sue di-scipline, dal burocrate al progettista, dal prete all’intrattenitore, ecc.), carichi di lavoro insopportabili. Risultato: «Il docente ha fatto boom!» (è il titolo di una copertina dell’Espresso di qualche tempo fa). E giustamente questo professionista della cultura, subissato dalle novità, osteggiato da circolari e obblighi burocratici pseudo-innovativi, non riconosciuto socialmente e non considerato dalle famiglie, si trova in una situazione di grave impasse.
La situazione, comunque, resta preoccupante. Alle associazioni di categoria, ai sindacati e agli studenti che chiedevano al Ministero di Viale Trastevere informazioni sul futuro delle classi numerose nel prossimo anno scolastico (ma è così già dal 2007/2008) è stato rispo-sto che, benché si sia registrato un certo aumento di unità (in base ai dati delle preiscrizioni nei licei), nulla cambia nelle disposizioni e nei criteri di formazione delle classi. Per il prossimo anno rimane sostan-zialmente stabile il rapporto alunni-docenti-classi. Di conseguenza, un portavoce del Ministero, suggerisce che, allorquando si verificassero casi di sovraffollamento, tenendo conto degli alunni effettivamente frequentanti, all’inizio dell’anno scolastico si procederà all’eventuale sdoppiamento delle classi e all’assegnazione del numero dei docenti necessario. In linea di massima, al Ministero sono sicuri che nel prossimo anno scolastico le classi dei nuovi licei e degli istituti professionali (alcuni veramente in deficit per iscrizioni di alunni) si attesteranno sui valori generali degli ultimi anni, cioè un numero massimo di 25 alunni per classi, salvo poche accertate eccezioni.
Habent sua fata libella!
La realtà, però, non è così semplice, perché dalla programmazione/previsione alla realtà effettuale la distanza è notevole.
Il meccanismo legale che permette di «sdoppiare» classi sovraf-follate ha vincoli procedurali e temporali stretti. Le norme attuali – la procedura è definita dal decreto ministeriale sulla determinazione degli organici del febbraio 2007, che si richiama alla legge n. 333/2001 e successive modifiche – prevedono che gli eventuali sdoppiamenti abbiano luogo non più tardi del mese di luglio. Dal Ministero insistono che per evitare classi sovraffollate si potrebbe slittare fino al settembre successivo.
La norma, in realtà, consente ai dirigenti scolastici un aumento del numero delle classi, ma «solo in caso di inderogabili necessità legate all’effettivo aumento del numero degli alunni rispetto alle previsioni, da valutare secondo la normativa in vigore». Le variazioni, tra l’altro, rivestono il carattere di evento eccezionale e per essere autorizzate devono rivelarsi “assolutamente indispensabili”. Questa condizione stimola le persone preposte a non agire, a soprassedere, ad aspettare, lasciando ricadere sulle spalle dei docenti tutto il peso della gestione di una classe con un elevatissimo numero di allievi e spesso anche con un alunno diversamente abile.
Bisogna ricordare ancora che il decreto ministeriale n. 331/1998 ammetteva una deroga al limite massimo di 25 alunni per classe solo nella misura del 10% (consentendo in pratica la formazioni di classi di 28 alunni o, se classe iniziale unica, anche 29 alunni).
Se la panacea delle problematiche scolastiche appare la raziona-lizzazione della spesa e il taglio degli organici, altrettanto non lo è per le problematiche educative. Quest’anno il MIUR, per avvicinarsi ai parametri dell’UE, ha ridotto il numero dei docenti e del personale ATA, sopprimendo classi e ridistribuendo il numero degli allievi all’interno di quelle limitrofe.
A tutto ciò si aggiunge la limitazione temporale che la legge pre-scrive, dicendo che i dirigenti scolastici possono procedere agli sdoppiamenti solo entro il 10 luglio antecedente l’inizio dell’anno scolastico (in maniera tale che gli USP possano conferire entro il 30 luglio i posti messi a disposizione per gli aspiranti agli incarichi an-nuali di supplenza).
Frattanto proprio in questi mesi è in atto un duro scontro tra sin-dacati, parti sociali e Ministero sugli organici di fatto, mentre la scure dei tagli pesanti all’istruzione/formazione e alla cultura di certo non risparmia la scuola.
La riduzione della spesa pubblica nella scuola, da attuare a tutti i costi, è stata invece inficiata dalla non sempre fattibile trasformazione del tempo pieno in offerta ridotta (a 27 o 32 ore). È un’operazione che, spesso, per il soddisfacimento dei bisogni educativi e delle fina-lità pedagogiche dell’insegnamento ha costretto USP e URS (Ufficio Scolastico Regionale, ex-sovrintendenze) a ripristinare classi e sezioni destinate a coprire un’offerta formativa non più a tempo pieno.
L’applicazione dei tagli non effettivamente realizzata, anche per l’aumento degli insegnanti di sostegno, a fronte del lievitato numero di studenti diversamente abili (oltre 7000 unità in più), si scontra con limiti incompatibili oggettivamente con le reali esigenze della didat-tica e con i parametri di sicurezza riguardanti gli spazi all’interno delle classi e delle scuole (in generale, previsti dalla normativa vigente). È la teoria dei pesci rossi e della polla d’acqua, cioè «se metti in una polla d’acqua due pesci rossi, questi convivono; se ne aggiungi altri quattro, stanno stretti, ma sopravvivono; se ne aggiungi altri dieci si scannano tra di loro».
A intasare ancora di più la situazione, il decreto del febbraio 2007 sulla formazione delle classi prescrive che «non sono ammessi sdop-piamenti né istituzioni di nuove classi dopo l’inizio dell’anno scola-stico». A chi credere? Si provvederà a una misura di aggiustamento tramite la solita circolare che concede di agire in deroga a…?
Due gli scenari possibili, o in linea di massima si rispetteranno le previsioni del Ministero e avremo le solite classi di 28/32 alunni; o non si riuscirà a gestire l’emergenza, se non zeppando le classi fino a 36 alunni cadauna, lasciando ai “soliti professori” la patata bollente di una classe difficile da gestire e dai risultati pedagogici già pregiu-dicati.
A questo punto è d’uopo chiederci: perché tanti alunni nei licei e così pochi nei tecnici e nei professionali? Forse perché l’istruzione tecnica in Italia segna il passo e le famiglie non hanno più fiducia in essa? Le statistiche nazionali segnano, impietosamente, un calo si-gnificativo delle iscrizioni negli istituti tecnici e professionali e un trend vincente per le iscrizioni ai licei, particolarmente negli indirizzi scientifico e linguistico. È una contraddizione in termini educativi, dal momento che proprio uno dei fulcri della riforma era il rilancio dell’istruzione tecnica (condizione necessaria e indispensabile link tra istruzione/formazione e mondo imprenditoriale). Ma evidentemente non sono stati prodotti i risultati sperati. Un dato indicativo di un andamento negativo e fallimentare: la Federmeccanica ha comunicato che il numero dei giovani diplomati presso gli istituti tecnici non riesce a soddisfare il fabbisogno delle imprese, in quanto al di sotto delle richieste, non solo in termini numerici, ma anche sotto il profilo delle skills, delle competenze richieste, ovvero i giovani tecnici formati negli istituti tecnici non sono all’altezza delle aspettative e delle esigenze dell’imprenditoria nazionale. Ma la scuola non do-vrebbe formare i giovani e prepararli al loro ingresso nella società e nel mondo professionale?
Ma questa è tutta un’altra storia, anche se c’entra con il “tempo” per educare e formare e con le “teste ben fatte”.



Approfondimenti

-Canevaro A., Ianes D., Diversabilità. Storie e dialoghi nell’anno europeo delle persone disabili, Trento, Erickson, 2003.
-Giuliani A., “Istituti tecnici ancora in calo, con la riforma meno iscritti”, in La Tecnica della Scuola, anno LXII, n. 6, 20 novembre 2010.
-Molteni C., Filosofia preventiva: il philosophical counseling per la prevenzione del burn-out negli insegnanti, Torino, ISFiPP, 2009.
-Pellegrino F., La sindrome del burn-out, Torino, Centro scientifico editore, 2009, nuova ed.
-Scipioni E., La scuola e le sue leggi: compendio delle leggi di riforma della scuola italiana dal 1924 ad oggi, Roma, Armando, 2010.